Giusto ieri sentivo dei colleghi sui 50-60 parlare di questa cosa totalmente, non riuscivano proprio a immedesimarsi nella prospettiva di noi giovani. Dicevano di essere cresciuti con l'idea di doversi sacrificare il più possibile con l'obiettivo di arrivare a prendere più soldi possibile in qualsiasi modo. Ho avuto l'impressione che non sapessero neanche come "mollare la presa" in un certo senso. Ammetto che mi ha fatto tristezza.
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Ho avuto una discussione con mio suocero qualche tempo fa su questo argomento, lui, che è per altro un professionista di grande cultura, diceva che dobbiamo essere ottimisti, con i soliti discorsi "mio nonno faceva 8000km a piedi scalzi tutti i giorni" e che le cose migliorano in continuazione.
Non riescono a capire la nostra mancanza di prospettive positive, ed il nostro rifiuto della schiavitù al lavoro.
cresciuti (loro) in un'altra epoca...con più certezze sul futuro e meno rivoluzioni in atto (tecnologica, ambientale, lavorativa...)
il mondo (e le dinamiche lavorative con esso) è cambiato tantissimo tra le generazioni.....in un certo senso loro non possono comprendere a pieno le nostre motivazioni e viceversa.... e questo secondo me si accentua tanto più ci sono atteggiamenti di chiusura mentale e non curiosità e voglia sincera di conoscere anche le prospettive e le motivazioni degli altri
Anche i vecchi cambiano punto di vista. Fino a qualche anno fa non avevo mai conosciuto chi lascia il lavoro senza avere una pensione. Rispetto per chi arriva a prendere questa decisione.
Io non ci credo alla stronzata che i vecchi ti raccontano parlando dei loro sacrifici. Tutta goliardia e disperazione nel dare a momenti infelici una sorta di onore. Perché se dopo aver lavorato trent'anni della tua vita ti accorgi che il tuo lavoro non è contato un cazzo e i soldi che hai guadagnato non ti hanno reso libero, difficilmente sarai umile da ammerterlo e si preferirà fare la predica come i preti per sopprimere la tristezza infinita di una vita spesa in modo vuoto e triste.